I “frascatuli” la polenta siciliana

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E’ risaputo che i nostri connazionali del nord ci attribuiscono più o meno simpaticamente l’appellativo di “terroni” e che noi altrettanto simpaticamente ricambiamo, definendoli “polentoni” vale a dire mangiatori di polenta, in quanto uno dei piatti peculiari delle regioni del settentrione è appunto la polenta preparata con la farina di mais.  Si tratta di una pietanza squisita per quanto frugale, ma il Sud vanta un piatto analogo e altrettanto gustoso che non ha nulla da invidiare a quello nordico, i “frascatuli” la polenta siciliana. Il termine, oggi un pò in disuso, ci riporta alla mente l’umile quotidianità contadina che si “nutriva” di alimenti semplici e poveri ma genuini e ricchi di gusto.

Cibo di conforto

Era una sorta di comfort food,  presente quasi quotidianamente sulle tavole rurali specialmente nelle fredde serate invernali, a base di farina di grano mista a farina di cereali e di legumi, a cui si aggiungevano verdure che variavano  a seconda delle zone e delle stagioni. 

Si differenzia dalla classica polenta sia per il tipo di farina utilizzata, al nord prevalentemente di mais, un cereale che nel Mediterraneo arrivò dopo la conquista delle Americhe, sia per il condimento, sia per la ruvidità e scarsa compattezza dell’impasto che la caratterizza. 

Nel tempo ha un po’ perso il suo ruolo di protagonista, quanto meno nella sua versione originaria, che prevedeva solamente farina e verdure e si è arricchita di nuovi ingredienti, come bocconcini di carne di maiale o lardo e pancetta e ha assunto  nuovi nomi, ma in concreto sempre di “frascatuli” si tratta.

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Origini antiche

Ai giorni nostri, anche se non se ne fa un consumo  così frequente  come qualche tempo fa, tuttavia ha ancora un suo ruolo nelle cucine casalinghe e quando, soprattutto  nei mesi freddi, si decide di fare i “frascatuli” è giornata di intimità e calore familiare.

Le origini si fanno risalire a millenni fa, ai tempi della dominazione romana che va dal 241 a.c. al 440 d.c. periodo in cui la Sicilia fu provincia romana e veniva considerata  «il granaio della repubblica, la nutrice al cui seno il popolo romano si è nutrito» come scriveva Catone il Censore politico del tempo. Pertanto è plausibile che i siciliani dell’epoca abbiano utilizzato la farina che producevano in quantità  ingenti per realizzare un piatto che tutti potevano permettersi, il cui nome era “puls”, dal latino “puls fabata” perchè vi si aggiungevano le fave.

Pare che il termine “frascatula” invece, così curioso e apparentemente grezzo in realtà derivi dal francese “flasque” che significa molle, con evidente riferimento alla sua consistenza.

Troviamo concreta traccia dei “frascatuli” per la prima volta nel libro dello storico Michele Amari “La guerra del Vespro siciliano” edito nel 1843 in cui egli racconta che durante la rivolta dei Vespri siciliani iniziata a Palermo nel 1282  e poi dilagata in tutta la Sicilia,  che portò alla cacciata degli angioini dall’isola, le donne di Messina per sfamare i soldati che difendevano la città dall’assalto dell’esercito francese distribuivano loro la polenta che altro non era che “i frascatuli”, accompagnandola con  pane, acqua e vino. 

Egli descrive così la scena: “Donne cresciute in delicatissimo vivere, d’ogni età, d’ogni taglia fur viste a gara sudar sotto il peso di pietre e calcina; e lì, tra il fioccar de’ colpi, recarne a’ lavoranti; girare per le mura dispensando pane e polenta, dissetandoli d’acqua, mescendo vini”.

Nomi vari ma invariata bontà

Come detto precedentemente, con il passare del tempo “i frascatuli” hanno assunto nomi diversi da una zona all’altra della Sicilia e numerose sono le varianti, ma con un denominatore comune: il gusto e la semplicità degli ingredienti.

Altri nomi sono “arriminata”, “farinata” e poi ancora ad Enna paniccia, preparata con semola di grano duro che ha sostituito il grano tumminia che oggi scarseggia, a Nicosia  picciotta e si utilizza la farina di cereali e legumi misti (ceci piselli, fave, cicerchie…), a Troina piciocia con farina di legumi quali cicerchie e ceci e in altri luoghi dell’isola: patacò, paparotta, ciciotta, pulenta, chiullu, farfallu, mintarrimina e così via….

Ad Agrigento e Caltanissetta si prepara come fosse un minestrone con finocchietto, cipolla, pomodoro, carciofo e pancetta, a Leonforte si utilizza la farina di fava larga diffusa in quella zona, a Trapani diventa una sorta di cous cous con i granelli più grossi e viene cotta con il cavolfiore… insomma un mosaico di bontà e sapori.

Le verdure e i condimenti per la preparazione di questo piatto sono veramente tanti, dal finocchietto alle cime di rapa, ai broccoli, cavalfiori, cardi, bietole, asparagi, erbe spontanee, cicoria ecc. con l’aggiunta di olio, oppure strutto, pecorino e altro ancora. I frascatuli che avanzano è goduriosa consuetudine tagliarli a fette e friggerli, per la gioia del palato.

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Dalla Sicilia la bontà di questo piatto ha attraversato lo Stretto conquistando i nostri cugini calabresi e arrivando fino in Lucania. In queste regioni è stato arricchito con prodotti del territorio, differenziandolo da quello siculo.

Ricetta

Di seguito riporto una delle tante varianti. Altre ricette potete trovarle sul web o dare sfogo alla vostra fantasia, tanto per quanto riguarda le farine che le verdure e i condimenti.

Ingredienti per 4 persone

200 g di farina di grano duro

500 g di broccoli già puliti

500 g di bietole già pulite

80 g di pancetta

1 spicchio d’aglio svestito

pecorino grattugiato q.b.

olio extravergine d’oliva

sale

pepe

Preparazione

Pulire i broccoli e le bietole, sciacquarli e lessarli in 2 litri di acqua salata fino a quando diventeranno teneri. Occorreranno circa 10 minuti.
A cottura ultimata, preparare un soffritto con olio, pancetta ed aglio tritati.
Aggiungere le verdure e lasciarle insaporire.
Poi, versarle nel brodo di cottura e riportare a bollore.

Versare la farina di frumento nel tegame contenente le verdure.
Aggiungerla a piccole prese, mescolando con una frusta per non fare grumi.
Lasciare cuocere la frascatula assieme alle verdure per circa 10 minuti, sempre rimestando accuratamente.
Togliere la frascatula dal fuoco non appena raggiunge la consistenza di una polenta.
Al bisogno correggerla di sale.
Poi, condirla con olio, pepe di mulinello e pecorino grattugiato.
Versare la frascatula siciliana nelle scodelle e portarla subito in tavola.

Le verdure si può anche non soffriggerle e/o evitare la pancetta.

I frascatulari

Dopo aver gustato questa semplice prelibatezza potrebbe capitare che qualcuno vi dia l’appellativo di “frascatulari”. Nel caso, vi suggerisco di rimandarlo al mittente, perché il termine non significa “mangiatori di frascatuli” come si potrebbe supporre, ma ha tutt’altro significato, poco lusinghiero.

Frascatularu vuol dire infatti confusionario,  casinista, arruffone, pasticcione, disordinato, frettoloso, superficiale, inaffidabile, sparafrottole, inconcludente, insomma è evidente che non si tratta di un complimento.

Tuttavia risento ancora con nostalgia la voce della mia mamma che indispettita dal mio disordine mi gridava “non essiri frascatulara!”, senza ottenere purtroppo l’effetto sperato.

Presente in Cucina e Tradizioni