Il cantastorie, figura ormai sorpassata ma dal fascino intramontabile

Orazio Strano – Foto web

 In questi giorni mi sono imbattuta casualmente in un video dedicato ad una figura ormai sorpassata ma dal fascino intramontabile, quella del cantastorie, protagonista fino a non molto tempo fa, della  realtà popolare della nostra meravigliosa quanto tormentata terra.

Li ho ascoltati  raccontarsi e dalle loro parole, come dai luoghi, dalle vicende della loro vita errante e ancor più dai loro volti, traspare sicilianità, anima e poesia, coniugate a coraggio e spirito d’avventura.

Ho guardato il video in un alternarsi di emozioni e di ricordi nostalgici risalenti alla mia infanzia. Nel ricordo sono a cavalluccio sulle spalle di mio padre e assisto con lui in una piazza affollata, all’esibizione di un cantastorie.

Egli catalizzava l’attenzione di un pubblico semplice e curioso, affascinato dalle sue doti narrative. Ai miei occhi infantili appariva come un personaggio straordinario e con un alone di magia, come le storie che raccontava con enfasi drammatica, storie che mi incutevano timore e pena fino a farmi piangere, per quanto non ne comprendessi appieno il senso, data la mia tenera età.

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Quello dei cantastorie era un vero e proprio mestiere, ancora in auge fino a qualche decennio fa, oggi ormai praticamente scomparso anche se ha lasciato un’impronta indelebile nella nostra cultura, come tutte le cose che fanno parte del passato e custodiscono l’identità di un popolo, il vissuto dei predecessori, le passioni che li hanno alimentati e gli eventi che ne sono conseguiti e che hanno influito su quello che è il presente.

E’ così che ho pensato di scrivere di loro, di dedicarvi un po’ del mio tempo e spero anche del vostro nel leggere questo articolo.

Origini medievali e oltre

Essi vantano origini antichissime, troviamo il loro più remoto antenato nel Medioevo, nelle vesti del giullare, ispiratore e precursore di tutti gli artisti di strada, che ancora oggi e non di rado con grande talento, intrattengono il pubblico dei paesi e dei centri urbani.

Se ci spingiamo ancora oltre, ai tempi dell’antica Grecia, ritroviamo Omero e i suoi mitici progenitori, gli aedi che raccontavano storie nelle agorà, pertanto possiamo dire che le origini dei cantastorie si perdono nella notte dei tempi.

Il termine “giullare” spesso si accompagna al termine “corte”, a formare il binomio “giullare di corte” in quanto, sebbene inizialmente fosse un artista girovago che viveva in una condizione di quasi indigenza, successivamente molti di loro, giullari divenuti menestrelli , vennero accolti presso corti reali, nobili casate e signori di alto lignaggio.

Menestrello – Foto web
Giullare – Foto web

Nei secoli successivi al Medioevo vennero chiamati non più giullari ma cantastorie. Raggiunsero grande popolarità in Sicilia nel 1300. Nella seconda metà del 1500 assunsero un ruolo sociale ben definito, distinguendosi dagli altri artisti di strada.

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I cantastorie girovagavano per paesi e città con  la loro arte, la passione per la poesia popolare e un immancabile strumento musicale, quasi sempre una chitarra.  Conducevano una vita errabonda per niente facile, lontani dalla famiglia e sottoposti all’imprevedibilità e ai rischi che ne conseguivano.

Foto web

In tempi remoti il cantastorie era di solito cieco e come tutti i ciechi era ricco di fantasia e di sentimento artistico. Componeva e improvvisava, ma prevalentemente ripeteva cantando componimenti di altri e la sua memoria particolarmente esercitata era una vera e propria biblioteca ambulante.

Essi cantavano soprattutto le vite e i miracoli dei santi, davanti alle edicole votive e tramite loro, i peccatori offrivano in penitenza le proprie colpe.

Questo valeva per i secoli passati, con il tempo diventò un’attività intrapresa non per infermità fisica ma per tradizione familiare o per vera e propria vocazione.

Artista poliedrico e fantasioso

Il cantastorie era dunque un intrattenitore, cantante, poeta, narratore.  Oltre che nelle piazze si esibiva nelle fiere, nelle feste padronali, nelle taverne, nei mercati, nelle strade. Il suo repertorio era molto vasto e vario tale da suscitare lacrime e risate.  Andava dalle vite dei santi,  alle avventure di pirati e di briganti cari al sentimento popolare, a storie d’amore tormentate, fatti comici e drammatici del presente e del passato.

La Barunissa di Carini (chianci Palermu e chianci Siracusa, a Carini c’è lutto in ogni casa…) era uno dei pezzi più tragici e salienti del repertorio, che iniziava con questi versi e riscuoteva sempre grande successo. Insomma, uno zibaldone di racconti epici, sacri e profani letti o inventati oppure riadattati per renderli accessibili ad un pubblico in gran parte analfabeta.

Egli declamava anche componimenti di letteratura, in particolare i poemi cavallereschi provenzali i cui paladini acquistavano familiarità presso il popolo incolto  che senza il suo tramite non li avrebbe mai conosciuti, pertanto  svolgeva un importante ruolo culturale e divulgativo.

Franco Trincale – Foto web
Giovanni Virgadavola – Foto web

I loro spettacoli si svolgevano fra la recitazione e il canto sapientemente dosati in modo da rendere il racconto particolarmente avvincente. L’aspetto visivo della storia veniva efficacemente reso dall’uso di un grande cartellone sul quale erano illustrate in sequenza le scene più significative.

Una loro fondamentale prerogativa era l’innata capacità di immedesimarsi nel sentimento popolare. Facevano proprie le passioni, le emozioni, i timori della gente a cui poi li restituivano,  dopo averli elaborati secondo il proprio sentire. Godevano di grande notorietà e di un pubblico di fedeli appassionati che oggi si chiamerebbero “fan”.

Riuscivano a vivere dignitosamente con le offerte del pubblico e con il ricavato della vendita dei foglietti e dei libretti sui quali era riportato quanto raccontavano. Si inventarono le storie a puntate e interrompendole sul più bello creavano suspense e curiosità che inducevano  all’acquisto. Dai libretti successivamente si passò ai dischi e alle audiocassette che venivano venduti anche altrove nei negozi. I guadagni pertanto aumentarono considerevolmente, specialmente negli ultimi decenni.

Cronista e giornalista orale

Con l’evolversi dei tempi, con il crescere di una consapevolezza sociale, specialmente dopo la prima guerra mondiale, essi sopperivano all’assenza dei mezzi di comunicazione e assunsero caratteristiche di cronista, di giornalista orale. Davano ampio spazio alle notizie di attualità, ai fatti di cronaca che colpivano l’opinione pubblica, come ad esempio i delitti di mafia, mettendo in pericolo la loro stessa incolumità.

Peppino Castello – Foto web
Foto web

A tal proposito nel filmato di cui ho accennato all’inizio dell’articolo, il cui link troverete in fondo, c’è una testimonianza di quello che è forse il più noto fra i cantastorie siciliani, Ciccio Busacca. Fra i suoi pezzi più famosi aveva una composizione sul delitto del sindacalista Salvatore Carnevali che <<Angilu era e non aveva l’ali>> e un altro personaggio che più di ogni altro ha dato vita ai suoi versi è stato il bandito Salvatore Giuliano.

Via via gli argomenti relativi all’attualità, a ciò che avveniva nella società del loro tempo, andarono intensificandosi. La gente sempre più stanca dei sorprusi e delle ingiustizie voleva sapere, conoscere, sfogare il proprio malcontento e allora essi  si adeguarono. Misero in versi e rime baciate, invettive contro la classe politica, i nobili, gli sfruttatori, i corrotti, le tasse, l’emigrazione  e quant’altro generava malessere nella popolazione ed era causa di condizioni di vita assai difficili.

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Con l’avvento della televisione nella metà degli anni ‘50 il mondo dei cantastorie iniziò a vacillare. Quello che era diventato il loro ruolo principale, di divulgatori di notizie e di cultura venne usurpato da una scatola che parlava al posto loro, grazie alla quale per informarsi non serviva nemmeno uscire di casa.

Tuttavia inizialmente era privilegio di pochi, pertanto sebbene non avessero più il seguito su cui avevano contato fino ad allora e  malgrado per esibirsi dovessero trovare luoghi più idonei, continuarono a svolgere la loro attività per altri anni ancora. Era però ormai evidente che bisognava arrendersi al progresso e alla nuova realtà che arginava la cultura popolare e si avvaleva delle moderne forme di comunicazione e di intrattenimento.

La scuola di Paternò e i più famosi

Nonostante un po’ tutta la Sicilia generasse talentuosi cantastorie, Paternò in provincia di Catania è da considerarsi la città madre di quelli più conosciuti. Da Gaetano Grasso il caposcuola e tanti altri, che citarli tutti è un po’ impegnativo, al  più famoso,  Ciccio Busacca. Egli fece conoscere la sua arte al Nord, collaborando artisticamente con importanti personaggi della levatura di Dario Fo. Divenne l’anello di congiunzione tra i cantastorie siciliani e il mondo dello spettacolo oltre lo Stretto, quello del Continente.

Dario Fo credette nelle sue qualità artistiche e gli aprì la strada nei teatri italiani ed europei. Recitando in dialetto siciliano veniva ovunque acclamato da un pubblico entusiasta.

Accadde che ad un certo punto della sua vita la mafia iniziò a minacciarlo e fu costretto a trasferirsi al Nord, passando il testimone al fratello Nino divenuto famoso a sua volta.

Ciccio Busacca e Nino Busacca – Foto web

Una menzione particolare per una donna straordinaria che definire cantastorie è si appropriato ma anche riduttivo. Parlo di Rosa Balistreri un’artista che meriterebbe un articolo interamente dedicato a lei,  alla sua vita sofferta, alla sua arte densa di sentimento e drammaticità.

A lei in particolare e ai  cantastorie paternesi, soprattutto a Ciccio Busacca,  diede il suo prezioso contributo  il poeta dialettale Ignazio Buttitta. Scrisse per loro alcune delle più importanti composizioni, specialmente in tema di mafia e malaffare. Nella vita di Ciccio come in quella di Rosa l’incontro con Buttitta fu molto importante, direi determinante per il loro percorso artistico.

Ignazio Buttitta e Rosa Balistreri – Foto web
Rosa Balistreri . Foto web

Il cantastorie del mio ricordo di bambina di cui ho scritto sopra si chiamava Orazio Strano ed era di Riposto. Nonostante fosse paralitico e costretto su una sedia a rotelle egli non si risparmiava e divenne famoso ben oltre i confini dell’isola. Fu intervistato dalla Rai e apprezzato da personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura quali, per citarne uno, Salvatore Quasimodo.

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Tanto altro ancora ci sarebbe da scrivere sul mondo dei cantastorie e su ciascuno di loro. Personaggi complessi e carismatici dalle vite avvincenti e avventurose. Spero tuttavia che questo articolo abbia raggiunto l’ intento di rendere loro un doveroso seppure modesto omaggio.

Qui il link del video cui ho accennato sopra, faccio presente che ha una durata di quasi cinquantacinque minuti, ma vale la pena vederlo.

Presente in Arte e Cultura , Personaggi