La fontana dell’amore “proibito” del vicerè

La fontana della Sirena nella piazza d’Orleans (attuale piazza Indipendenza), come appare, prima che venisse distrutta, in una litografia della prima metà dell’Ottocento

Don Marcantonio Colonna, duca di Tagliacozzo, vicerè di Sicilia fece costruire, dal 1577 al 1584 la grande strada che a monte aveva il muro bastionato della città; a valle la riva del mare e si estendeva dalla Cala sino al piano di S. Erasmo.

La nuova via sarebbe divenuta in breve la splendida «passeggiata della Marina»; nel tempo, oltre che «strada Colonna», avrebbe avuto altri nomi: Foro Borbonico, Foro Umberto I, Foro Italico.

Non è, evidentemente, possibile condensare in questa breve nota tutte le vicende urbanistiche ed edilizie di questa magnifica strada; ed è per questo che, per il momento, ci limiteremo a parlare di una fontana, oggi perduta, che venne impiantata per abbellire la nuova via quasi contemporaneamente alla sua apertura.

Una fontana che, indipendentemente dal suo valore architettonico ed artistico, aveva altro interesse in quanto legata agli amori extraconiugali del già anziano vicerè con l’affascinante Eufrosina Siracusa e Valdaura, moglie di Calcerano Corbera, baronessa del Miserendino.

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Ed il ricordo delle avventure galanti del Colonna dovette rimanere vivo per gran tempo se il gentiluomo Vincenzo Di Giovanni – nel suo Palermo restaurato scritto nel 1615, e cioè una ventina di anni dopo la morte del vicerè – parla della «strada Colonna, con la fonte marmorea che fè fare il signor Marco Antonio, con la Sirena di sopra, sua propria impresa, con la faccia del medesimo ritratto della sua cara ed amata Eufrosina».

La fontana, adorna di mostri marini ai quali erano abbracciati dei puttini, era sormontata da una sirena che sprizzava acqua dai capezzoli di turgidi ed abbondanti seni.

Ufficialmente la sirena rappresentava soltanto un simbolo riferentesi ai Colonna, in quanto lo stemma della famiglia del vicerè era sormontato da un cimiero recante al di sopra una sirena; ma, in realtà, la voce popolare diceva che, invece, la sirena effigiava la bella Eufrosina con le sue provocanti forme.

La piazza Indipendenza, all’inizio del secolo

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Marcantonio Colonna, sebbene avanzato negli anni, aveva preso una vera e propria cotta per la bella baronessa del Miserendino, pur di potersi «ritirare a diletti amorosi» – come dice il Di Giovanni – nelle stanze che aveva fatto costruire sopra Porta Nuova; non aveva avuto alcuna titubanza a sgomberare il campo da avversari ed oppositori con metodi che, eufemisticamente, potremmo definire «non del tutto leciti». E, sull’argomento, il Di Giovanni non è avaro di particolari. L’amore del vicerè era stato occulto per qualche tempo, ma poi – come avviene anche oggi – «alla fine incominciò a pubblicarsi». Calcerano Corbera, marito della dolce ma infedele Eufrosina, non era tipo da sopportare il torto, anche se fatto da Marcantonio Colonna.

Ed Eufrosina tutto questo l’aveva chiaramente detto, tra un amplesso e l’altro, al suo vicereale amante e, anzi, aveva aggiunto che, oltre che del marito, c’era anche da temere del suocero, uomo all’antica e di costumi «arretrati». Il vecchio ma ancor focoso vicerè, aveva però subito provveduto.

Poichè il suocero era oppresso da debiti, lo fece carcerare nel Castello a mare dove il poveruomo, «per rabbia o per altro modo», passò a miglior vita. Restava però ancora il marito. Ma anche a lui pensò il buon vicerè: provvide a farlo invitare da certo Pompeo ad effettuare un viaggio a Malta con le galere di Sicilia, accompagnato da Gaspano Agliata, D. Giovanni Bellacera e Flaminio di Napoli. Ed a Malta, il barone Calcerano Corbera un bel mattino fu trovato morto dietro la porta di casa, «con molte pugnalate senza avere avuto disgusto o inimicizia con nessuno».

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La vedovella Eufrosina «benchè ne portasse lutto per qualche tempo, incominciò a frequentar l’amore scopertamente» con il vecchio vicerè che per lei aveva addirittura perduto la testa.

E il Di Giovanni commenta che «il signor Marco Antonio in quello divenne così cieco, che, non facendo conto dell’autorità e reputazion viceregia, fu un altro Marco Antonio con Cleopatra». Fortunatamente la viceregina, donna Felice Orsini, era una ottima donna ed una moglie tollerante. Vero è che il vicerè le aveva dedicato la nuova porta al termine del Cassaro, ma è pur certo che la nobile dama gli occhi li chiudeva tutti e due, anche quando le succedeva di trovare, per caso, la provocante Eufrosina addirittura entro la vicereale alcova. E sull’argomento, intessuto di storielle più o meno piccanti, ci sarebbe oggi da pubblicare un bel «fumettone».

Un’altra veduta della stessa piazza Indipendenza

Ma torniamo alla Fontana della Sirena. Rimase lungo la Strada Colonna sino al 1820 circa; poi, non sappiamo perchè, venne trasportata nel piano di S. Teresa (attuale Piazza Indipendenza) dove è ritratta nella litografia che pubblichiamo a p. 87. Durante i moti del 1848 fu deturpata, e ridotta in pessime condizioni sicché è probabile che, dopo qualche anno, venne rimossa e dispersa.

E così, della bella baronessa del Miserendino, le cui procaci forme, sia pure in candido marmo, il vicerè aveva voluto mostrare al popolo, si è perduto il ricordo. Forse anche per la pace dello spirito del disgraziato marito Calcerano Corbera, come tanti altri dei nostri giorni «cornuto ed ammazzato».

LA CITTÀ PERDUTA | 15 giugno 1971

Contributi esterni all’articolo:

Antoine Victor Edmond Madeleine JOINVILLE, Veduta di Palazzo d’Orléans a Palermo, 1832

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